Osservatorio #conibambini: in Italia oltre 2 mila orfani di femminicidio
Sono oltre 2.000 gli orfani di femminicidio in Italia. Tra marzo e giugno 2020, le donne vittime di violenza con figli sono state 3.801. Figli anch’essi vittime, in quanto assistono e in alcuni casi subiscono violenza. Il femminicidio è un dramma che colpisce ogni anno circa 100 donne. Sul totale degli omicidi con una donna come vittima, i femminicidi sono il 91%. Quella della violenza sulle donne è un’emergenza che è cresciuta durante il lockdown: sono oltre 15.000 le chiamate ricevute dal numero antiviolenza da marzo a giugno 2020. Nei mesi del lockdown sono stati segnalati 1.673 episodi di violenza contro le donne in più rispetto al 2019.Ma solo il 24% delle vittime sporge denuncia. È quanto emerge dal report dell’Osservatorio #conibambini, a cura di Con i Bambini e Openpolis, promosso nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile in vista del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Di seguito un estratto del rapporto.
Durante il lockdown si è registrato un aumento delle violenze domestiche in vari Paesi, tra cui l’Italia. La raccomandazione di stare a casa, infatti, per molte donne ha significato rimanere a stretto contatto per quasi tre mesi con il proprio partner violento. Il tutto in un contesto di insicurezza economica, ansia per il possibile contagio e per le limitazioni sociali prolungate. Le conseguenze immediate sulle vittime, donne e figli inclusi, si sono tradotte in paura e percezione di vulnerabilità. Le limitazioni del lockdown, inoltre, hanno messo in difficoltà molte donne nel trovare adeguate motivazioni per lasciare l’abitazione. Sia per denunciare l’episodio violento, sia per separarsi dal compagno, nella difficoltà concreta di trovare una sistemazione alternativa. Di conseguenza, il sentimento di non poter cambiare la situazione presente può aver contribuito ad un maggior isolamento sociale e dunque una difficoltà maggiore nel chiedere aiuto.
Secondo i dati Istat, le chiamate al numero antiviolenza si sono impennate durante i mesi di lockdown.
Da marzo a giugno 2020 ci sono state 15.280 chiamate al 1522, con un aumento del 73% rispetto al 2019.
In particolare, nel periodo dal 9 marzo al 3 maggio, i mesi di lockdown più duro, ne sono state effettuate 7.410, per una media di 135 telefonate al giorno. Solo nel mese di marzo, le chiamate sono aumentate del 22% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Nei mesi tra marzo e giugno del 2020 sono stati segnalati 1.673 episodi di violenza in più rispetto al 2019. Violenze che riguardano migliaia di donne ogni giorno e che, oltre al contesto creatosi con il lockdown, accadono anche nei luoghi di lavoro, per strada, a scuola.
Ma una chiamata al numero antiviolenza non si traduce necessariamente in una denuncia.
Secondo i dati Istat 2020, solo il 24% delle donne vittime di violenza sporge denuncia
La percentuale varia tra il 25% quando si tratta di un partner precedente e il 17% quando si tratta del partner attuale. A questo si aggiunge un altro problema: tra le donne che sporgono denuncia, solo il 31,4% firma il verbale. Questo fa sì che le possibili azioni che seguono la denuncia subiscano una battuta d’arresto, lasciando spesso il partner violento impunito. Nei mesi da marzo a giugno nel 2020 si stima siano state 4.738 le donne vittime di violenza che non hanno denunciato. Tra le motivazioni che portano le donne a questa decisione, spesso ci sono la paura di ripercussioni da parte del partner violento, il non voler compromettere la famiglia, il non avere un altro posto in cui andare.
Se da una parte le donne sono intimorite dal denunciare la violenza subita, dall’altra si aggiunge la difficoltà a procedere delle forze dell’ordine in quanto la violenza non viene verbalizzata. Infatti, nel 2014 il 70% delle donne dichiara di non aver denunciato la violenza subita e l’83,4% non ha denunciato quando l’autore della violenza. Tra le donne che denunciano, quasi il 40% non firma il verbale, e questo fa capire le ulteriori difficoltà che si aggiungono nella lotta al fenomeno del femminicidio e della violenza di genere. Infatti alla violenza spesso si aggiunge un contesto sociale non solidale con la vittima, che non incoraggia la denuncia del reato. Dai dati Istat emerge che l’1,4% delle persone che non denunciano la violenza teme di essere giudicata male dai propri familiari, e quindi l’isolamento dalla sua stessa famiglia.
Nel periodo tra marzo e giugno 2020, il 5,6% delle donne che non hanno denunciato la violenza subita ha dichiarato come motivo il ritorno dal partner violento.
Una indagine Istat nel 2014 ha rilevato le motivazioni più frequenti che spingono le donne a fare questa scelta sofferta: tra queste, la speranza che il partner possa cambiare, il voler dare un futuro migliore ai figli, le difficoltà economiche, il non avere un’altra casa in cui stare, ma anche la vergogna della separazione. Un dato da cui emerge come sia ancora molto forte il pregiudizio nei confronti della separazione, specialmente se voluta dalla donna, in alcuni contesti sociali.
La violenza contro le donne, in alcuni casi, porta alla sua manifestazione più grave: il femminicidio.
Il femminicidio è un dramma che colpisce ogni anno circa 100 donne.
Si considera femminicidio qualsiasi atto di violenza basato su una discriminazione di genere che causa la morte di una donna, compiuto sia in luogo pubblico che privato da qualunque individuo. Spesso la violenza viene commessa dal partner (o ex partner) della vittima, sia che condividano la stessa residenza, sia che vivano in abitazioni distinte.
Le radici sociali del femminicidio si basano su in una concezione patriarcale della società, in cui la donna viene vista come dipendente dal partner. La donna viene considerata priva di potere decisionale, specialmente riguardo all’eventuale conclusione del rapporto. Nel 2019 sono state 93 le donne vittime di omicidio in ambito familiare, l’83,8% del totale degli omicidi di donne. Una percentuale che aumenta se si considerano tutti gli omicidi, anche quelli compiuti al di fuori di relazioni familiari.
Nel 2019, sul totale degli omicidi con una donna come vittima, i femminicidi sono stati il 91%.
Se poi si osserva il numero di omicidi, nel corso di tutto il 2020 ce ne sono stati 112 con una donna come vittima. E al 9 maggio 2021 sono già 38 gli omicidi volontari con vittime donne. Di queste, 34 sono state uccise in ambito familiare e in 25 casi l’autore dell’omicidio è il partner o l’ex partner.
Per contrastare il fenomeno è necessario intervenire sulle sue radici culturali ed educative. In primo luogo, con politiche attive volte a ridurre i tanti gap tra uomini e donne nei diversi ambiti, dal lavoro svolto, al salario, alla divisione equa delle mansioni familiari. Ma anche attraverso un investimento educativo a partire dalle generazioni più giovani, che educhi alla parità di genere, al rispetto reciproco, al rifiuto di ogni forma di violenza.
Tra le vittime, infatti, ci sono anche i figli: che assistono, o anche subiscono direttamente, le violenze. Nel 2020 sono circa 2.000 le ragazze e i ragazzi orfani di femminicidio, sia maggiorenni che minorenni, aventi diritto a un sussidio finanziario proprio a seguito dell’omicidio della madre per mano del partner o di un familiare.
Dai dati Istat emerge che tra marzo e giugno 2020 le donne vittime di violenza con figli sono state 3.801, un numero che negli ultimi cinque anni è aumentato considerevolmente. Infatti, si è passati da 1.930 nei 4 mesi del 2015 a 2.212 nel 2018, fino al dato dell’anno scorso vicino a 4.000. Figli che sono essi stessi vittime, insieme alla madre, in quanto assistono e in alcuni casi subiscono la violenza.
Tra marzo e giugno 2020, quasi 2.000 figli hanno assistito a violenze domestiche, con un aumento dell’86% rispetto al 2019. I casi di violenza sui figli registrati nello stesso periodo sono 354.
Bambini e ragazzi con una situazione familiare distrutta che, nel caso in cui non abbiano parenti prossimi disponibili a prendersene cura, vengono affidati ad altre famiglie o a centri per il supporto familiare. Ma quali sono le conseguenze psicologiche della grande sofferenza vissuta? Il 53,4% dei ragazzi che hanno partecipato all’indagine dicono di aver provato inquietudine mentre assistevano alla violenza. Il 10% ha detto che ha dovuto assumere comportamenti da adulto e accudire i familiari. Infine, un ulteriore 10% sostiene di essersi sentito aggressivo mentre il fatto avveniva.
In Italia sono oltre 500 i centri antiviolenza e le case rifugio, presenti in tutte le regioni. Tuttavia, sono poche le donne che vi fanno ricorso. Infatti, nel 2014 solo il 5% delle donne vittime di violenza dichiara di essersi messa in contatto con un Cav a seguito di un episodio di violenza. Al contrario, oltre il 90% non si è fatta aiutare da tali strutture. Fra queste, il 13% sostiene di non conoscerne l’esistenza e l’81% invece ha scelto, volontariamente o per ostacoli esterni, di non recarsi in alcuno di quelli presenti nella propria regione.
È possibile approfondire l’argomento su conibambini.openpolis.it.
L’Osservatorio #Conibambini, realizzato da Con i Bambini e Openpolis nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, fornisce dati e contenuti sul fenomeno in Italia nella modalità di data journalism, in formato aperto e sistematizzati, per stimolare un’informazione basata sui dati. L’obiettivo è promuovere un dibattito informato sulla condizione dei minori in Italia, a partire dalle opportunità educative, culturali e sociali offerte, ed aiutare il decisore attraverso l’elaborazione di analisi e approfondimenti originali.